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05 Giugno 2017

Salvatore Bommarito e “CANTUNERA SCIROCCU”

di Salvatore Di Marco
Salvatore Bommarito e “CANTUNERA SCIROCCU”

Scrivere poesie per Salvatore Bommarito - appena giunto alla seconda silloge di liriche pubblicate - è praticare una vera e propria fede: da non intendere - è bene chiarirlo - in senso propriamente religioso o addirittura fideisticamente, ma “laicamente umano”, cogliendo e significando la cifra esistenziale dell’uomo di oggi all’interno della sua realtà. Tuttavia un leggero e soffuso alone di religiosità cristiana riposa sullo sfondo dell’ intera raccolta di versi, senza per questo essere dal poeta esplicitamente reso manifesto. Sicchè la poesia - ma si può estendere alla più generale poetica dell’autore - in quanto si pone come espressione del reale mondano, terreno, intanto è dato come un autentico atto di verità. Possiamo, dunque, parlare di un vero e proprio umanesimo del reale e del vero.
Ritroviamo infatti, in Bommarito, una veritas ( umana, non trascendente) la quale - riflesso lirico della più alta e ideale verità - scende tuttavia naturaliter nella interiorità profonda del poeta, e con gli occhi e cuore rinnovati gli mostra o forse piuttosto gli rivela, il mondo concreto della realtà. Ecco un esempio: il vento di scirocco, il fuoco, contrassegni tipici della realtà siciliana, costituiscono gli archetipi - tra gli altri - della poetica di Bommarito, e ne riscontriamo il senso in questo brano:
Prima u focu ’un parrava e s’arrunchiava tuttu. Si mittìa vasciu vasciu p’un farisi vidiri… E s’u sciroccu u stricava n-terra ’un si putia chiù catacògghiri… Quannu n’arricampavamu allaccaruti, c’a facci niura e c’u tanfu ’i fumu nti robbi, ’un ni spicciava chiù ’i parrari… Ô patri ogni tantu n’u sunnavamu cch’i manu supra u braceri. Dicìa ca nnu postu unn’era u focu ’un la finia chiù ’i quariarlu. Tantu ca nostra matri pinsàu ô nfernu. Ma… mentri camiava u furnu, na vota â stissa ci dicìa: “cu’ appi focu campàu”.
Ecco la realtà che Bommarito innalza ai livelli del dettame poetico, ed è la realtà (lo ripeto) che tutti noi viviamo ogni giorno, quella che interiorizzata diventa esperienza, formazione del temperamento, concezione del mondo, il nostro più riposto e velato modo di essere. Ed è da questa area interiore che sgorga nel poeta la poesia con i suoi contenuti e i suoi linguaggi. Si tratta, in ultima analisi, di quei



siti creativi che troviamo nei componimenti poetici di questa silloge dove si articolano, in una permanente coniugazione tra memoria e presente, tra l’essere e il tempo nei suoi sottintesi richiami heideggeriani, i luoghi nativi riemersi dalle stagioni della fanciullezza e dell’adolescenza, le persone con le quali il poeta ha interagito, la famiglia attraverso le sue stesse trasformazioni nel tempo; la casa, gli oggetti, i personaggi e gli aneddoti del paese nativo, i dolori e le gioie, le speranze, i sogni, i progetti: insomma, ogni sfaccettatura dell’anima trasferita nel “modus poetandi” . E non solo, ma soprattutto nel dialetto. In quel dialetto che nasce dal “volgar eloquio” di pasoliniana manipolazione, e divenuto vero e proprio linguaggio della poesia, sua veste lirica, sua radicale significazione.
Ecco, è proprio entro questi illimitati perimetri dello spirito, della mente, della creatività, che il nostro poeta ne riscopre i tratti semantici come nei versi “Accussì nta sta passiata i palori/ mi currianu appressu/ e ’un mi lassaru chiù”.
Né il poeta se ne separa. Ecco così sinteticamente delineato il percorso poetico del Bommarito: il recupero della parola elevata a dignità di poesia, che lo accompagna per tutto il suo percorso poetico. E se teniamo conto che ci troviamo davanti alla parola dialettale, allora il dettato e le varianti del suo linguaggio offrono alla parola un valore nuovo. In altri termini, il dialetto da lingua della poesia diventa anche lingua della realtà. Sicchè è naturale disvelare il senso recondito della idea ( del sentimento) di Bommarito il quale vive la poesia come un permanente “atto di fede”. E’ allora questo il “segreto” di tutta la poetica del nostro autore, dell’essere poeta e “narratore” di verità concrete raccolte nel suo mondo? Nessuno potrebbe esserne certo - neppure in chiave psicologica - ma abbiamo indubbiamente individuato il sentiero dove transita la “ragione lirica” di Bommarito. Non a caso le poesie di questa raccolta sono spesso brevi ( o più articolate) “narrazioni” talvolta soffuse di malinconia, talaltra di nostalgia: si legga “ Ballatedda ’i meli e ’i feli” dove la vita sembra di tanto in tanto smarrire le sue rosee coloriture, si fa scena e scenario, attimo di smarrimento mentre u munnu n’ascutava a frevi.

Concludendo, con questa sua seconda raccolta di poesie Salvatore Bommarito si inserisce sulla ribalta della poesia dialettale nuova di questo secolo, con il contrassegno della originalità e della autenticità.

Salvatore Di Marco