CONVEGNO DI PRIMAVERA
San Giovanni Rotondo (FG) • 12 - 15 maggio 2006
Si è appena concluso il CONVEGNO DI PRIMAVERA, tenutosi a San Giovanni Rotondo (FG) • 12 - 15 maggio 2006
Cari amici poeti anposdini, vi scrivo dal seno della Luna, dove per un voto mi ero recato a cercare il mio senno, nella speranza che, insieme al senno del paladino Orlando, fosse andato a finire lassù fra gli altri. Qui, invece del mio senno, ho trovato la poesia dei poeti italiani, quelli dialettali, s’intende, perché questi senni poetici, questi eterni fanciulli di pascoliana memoria, seguono istinti primordiali e si aggregano, si uniscono, si incontrano, si sorridono e si scambiano tutto: poesia, amicizia, cordialità, talenti e baci, si, baci e… profumati sorrisi delle signore, poetesse e non. Così va il mondo poetico!
È primavera e i poeti dialettali, tutti insieme appassionatamente, hanno scelto come seno della Luna di ariostesca memoria proprio San Giovanni Rotondo, dove Padre Pio (San Padre Pio) deve sopportarli fra i suoi devoti.
Subito, appena giunti in città, sei premiato. Di che? In primis del viaggio che hai fatto, ché, se non sei venuto col tuo mezzo, hai dovuto viaggiare in autobus, aereo o ferrovia e viaggiando hai dovuto dormire, scendere, cambiare mezzo, salire, portare bagagli, moglie, suocera, bambini, figli, acqua minerale, borse e borsette. Ti pare poco? Ma lassù, a San Giovanni Rotondo, qualcuno ti ama. Chi? Il Presidente dell’A.N.Po.S.Di., Staltari, naturalmente, con i suoi encomi, apprezzamenti, valutazioni, critiche e sorrisi, e ti ama pure Procaccini, il Segretario Generale, sorridente, romano e in moto perpetuo. Se fosse stato donna l’avrei sposato, ma sono un uomo e catturato – ahimè - dalla poesia, oltre che dalle donne… Lascio perciò Procaccini ad affascinare i poeti e le poetesse mentre lo Staltari li aggrega e li organizza col suo piglio maestrale (!) e ne mantiene l’attenzione e l’interesse per il momento più bello ed appagante, quel momento in cui Egli, lo Staltari, li chiama a recitare le poesie, Tremi un po’ ad offrirti all’immancabile applauso di centocinquanta e più poeti e di altrettanti mariti/mogli, ma alla fine ce l’hai fatta: vieni presentato con breve ma completa nota critica e reciti davanti al mondo (poetico e dialettale) mentre i fotografi ti attaccano con famelici flashes di vario lampeggiare, ma soltanto dopo che Vitozzi, un voluminoso poeta di affascinante cordialità partenopea con la sua super digitale e professionale macchina fotografica avrà lasciato la prima linea ai volenterosi immortalatori.
Giungi all’assemblea e subito con l’ospitalità staltariana vieni portato in cattedra, dove ti attende lo spazio destinato alla memoria di Marzà. È la preghiera a Padre Pio, scritta dal nostro indimenticato amico poeta catanese. Poi, dopo gli imperiosi ed irrevocabili comunicati organizzativi degli ospiti garganici, vai a cena in uno splendido ed illuminatissimo salone, sempre che ti riesca trovarlo con un ascensore algebrico che con i suoi meno uno, più due e meno quattro ti riporta al beato tempo della scuola dell’età felice. In quel salone, un efficiente servizio a quattro stelle ti fa mangiare e bere come ti sei meritato per essere giunto fin lì, dove le statue di Padre Pio grandi, piccole, piccolissime e superpiccole popolano souvenir, davanzali, alberghi, ristoranti, programmi, depliants e, in medagliette metalliche, anche il petto delle signore.
Dopo, nella hall dell’albergo, musica al piano bar offerta dal dottor Michele Fini, un baffuto e composto signore dall’impeccabile aplomb che ha costruito e gestisce il grandissimo e quatristellato albergo Gran Paradiso che ci ospita. Qui, caro amico anposdino che sei rimasto a casa, finalmente si ballano fox-trot, tanghi, valzer, polka e rock and roll! L’età non conta e ballano tutti. La sala brilla di specchi e linoleum, statue, luci compiacenti, fiori, piante ed hostess di mediterranea avvenenza, signore di prosperosa trasparenza e poeti ultra…enni che cominciano a fare il chilo coccolati dalle mogli e non mogli su comode e vellutate poltrone, fra tazzine di caffè, digestivi antistaminici, ipoglicemizzanti, ecc..
Convenevoli, sorrisi e baci e libri, libri e libri (pardon, “sillogi”!), poesie e sonnolenza: il pranzo e il vino di Puglia ti invitano al sonno e ci vai, a dormire.
È già sabato, tredicesimo giorno di maggio di questo 2006 e sei sul pullman, dove una coltissima e deliziosa mora, leggera nella figura, ma dotata di partecipe vocazione storico-turistica, ti spiega tutto: il Gargano e gli antichi Dauni, il paesaggio, il mare verde, l’acqua, il vino, i pesci e la storia di questo, di quello e di ogni luogo. Ciò fino a Vieste, dove resti di sasso davanti al sasso dove nel 1554 il musulmano Draguth decapitò settemila cristiani. Panorami, stradine in saliscendi e caratteristici andirivieni e poi a pranzo, ancora, in hotel. Alla frutta passa suadente, ma sicura, l’organizzazione e sei già nella sala del convegno, al recital delle poesie e, tuttavia, prima ti godi beato e disteso nell’accogliente ed anatomica poltroncina di plastica, la presentazione del chiomatissimo Francesco Di Martino, ordinario di letteratura greca a Foggia, che ti presenta un barbuto ma suadente Raffaele Nigro, scrittore e giornalista di RAI 3. Questi ti parla della poesia dialettale e te la offre come storia, storia linguistica della cultura dialettale e orale come vocabolario materno, storia di una poesia che per essere dialettale è aurale ed è canto ed è perciò da ascoltare come linguaggio del cuore.
Poi alla sbarra il recital del primo gruppo di poesie dei convenuti (undici poetesse e ventitre poeti). Delle poetesse alcune ti incantano per eleganza, grazia e timbro; quasi tutte per curatissima canizie e raffinato maquillage, ma quel che non dimentichi è il pathos spettacolare di tutti che è - nei vari dialetti – poesia della poesia. Le poesie poi, se non sei rimasto imbambolato come un mammalucco, te le puoi godere in traduzione in un fascicolo che ti ha fornito l’impeccabile segreteria.
Il Presidente ora ti intervalla la sequenza presentandoti un incantevole Davide Leccese, preside del leccese liceo classico di Foggia. Perché me ne ricordo? Perché ha affascinato i poeti con una conversazione brillante e allegra sui dialetti e sugli intrecci con l’immutabile e mass-mediatica lingua italiana (o inglese?): Leccese ironizza sull’americanismo diffuso, sull’alfabeto delle tecnologie che ha privato i ragazzi dell’identità dialettale ed amerebbe che la scuola recuperasse il dialetto non per nostalgia storica, ma affinché si stabilisca una continuità colta fra le varie matrici della lingua italiana e perché fra queste matrici non possono che esserci i dialetti. Leccese conclude fra gli applausi scroscianti ed è subito poesia, ché i nostri poeti incalzano, recitano e fanno spettacolo finché è ora di cena e mangi coi siciliani compagni di poesia: in faccia a te due prosperose signore, madre e figlia, ti infliggono sobrie sonorità dialettali napoletane, poi corri nella lussuosissima e specchiatissima sala dove, Padre Pio onnipresente in simulacri benedicenti, infliggono a te, stanco poeta convenuto, e alla poetessa che ti ha incaricato e al bardo che ha partecipato e allo scrittore che scrive e alla ragazza che non c’entra nulla con la poesia, ti offrono la esibizione del gruppo folcloristico pugliese “Eco del Gargano” che – invece – chiamerei “inferno del Gargano” per vivacità, sonorità, coralità, danza, colori, allegria e canto e (ancora!) ragazze belle e prosperose da cui ti protegge solo la santità di Padre Pio presente e benedicente.
È già domenica. Tutti alla messa nella Chiesa Madre di San Padre Pio. All’offertorio, i poeti dell’A.N.Po.S.Di. – come per loro consuetudine – sfilano coi doni delle varie regioni. Poi, recando in mano la preghiera in brevi versi dialettali, salgono per recitarla su un podio che li mostra al popolo immenso che ascolta la messa sotto l’immensa cupola a conchiglia capovolta di Renzo Piano. Quanti saranno i fedeli? Ti giuro, sono 6.500, li ha contati Procaccino. Io ho visto un mare di teste illuminate da quella vetrata istoriata che catturava la luce del sole e la passava con soavità paradisiaca sulla gente che, ferma al suo posto, riceveva la comunione dalle pissidi d’oro portate da frati, preti e suore!
Un paesaggio pieno di luce quando esci, tu intruppato in un traffico pedonale da severe hostess e da addetti in divisa. Una vista a valle dalla spianata della chiesa ti mostra il tuo albergo Gran Paradiso. A monte vedi ospedali e ambulatori di grande recettività e vedi pure quello che fu un piccolo paese che ora sta invadendo tutta l’area pedemontana. Se Padre Pio non ferma il suo miracoloso ed irresistibile richiamo, case e alberghi raggiungeranno il mare.
Poi si pranza e si beve, si parla, si fotografa, si critica e si apprezza, si cercano Presidenti, Vicepresidenti e Segretarî, si sale e si scende, scale, ascensori, sorrisi, baci, incontri e saluti: è l’ultimo pomeriggio poetico. Staltari, stanco ma non domo, ti inchioda nella tua accogliente e anatomica sedia di plastica mentre il professore Carpaneto, un saggio romano vicepresidente dell’associazione, ti offre alla dottissima lezione di Marcello Teodonio, massimo studioso vivente di Giuseppe Gioacchino Belli su: “Attualità dei sonetti dialettali di G. G. Belli: il potere e la religione, gli uomini e le donne, la scuola e la medicina”.
Riprende il recital poetico, ma Carpaneto insiste e sei fatto fortunato ascoltatore di Giorgio Pisanò, critico letterario, che ti informa appassionatamente su “L’opera poetica di Erminio Caputo: dalla lingua della realtà alla lingua della poesia”. I poeti A.N.Po.S.Di. sono pronti per l’ultima tornata, ma arrivano i poeti locali di San Giovanni Rotondo e tu li conosci uno per uno, perché l’A.N.Po.S.Di. li apprezza e li premia. Infine, dopo l’ultima mano dei poeti convenuti, siamo alla fine. Ma no, non era finita! C’è ancora la premiazione e l’audizione delle poesie del concorso “Caro dialetto, non ti voglio dimenticare”. Premiazioni, targhe, diplomi e terrecotte di raffigurazioni archeologiche. Poi siamo all’ultima cena (absit iniuria verbis!). Dopo è l’ora dei talenti artistici dell’Associazione. Fra chitarre, fisarmoniche e pupi siciliani questo convegno di primavera si scioglie e lascia fiorire ancora la Poesia alta dei dialetti italiani che si incontreranno ancora per unire l’Italia pertinaci e determinati e convogliati da Staltari, Carpaneto e Procaccini a Riva del Garda, in settembre p.v.
Ora, visto che siete stati bravi a leggermi senza voltare pagina, vi premierò. Non so come, ma non qui. A Riva del Garda, in settembre.
di Nino Amico