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29 Ottobre 2020

Non pisi e non misuri - Libro di poesie nel dialetto calabrese della Locride

Pubblicato il nuovo libro di Poesie Dialettali di Mimmo Staltari
Non pisi e non misuri - Libro di poesie nel dialetto calabrese della Locride

PREFAZIONE
POESIA DEL CUORE, POESIA DI VALORI

Verso Staltari: alle radici della raccolta
Poesia di una vita. Poesia della vita. Una vita con la poesia.
Non è un gratuito gioco di parole, ma una triade che dipinge nelle sue convergenti sfaccettature l’anima di questa raccolta e la figura umana e culturale di Mimmo Staltari.
Questo per lui è il libro che non c’era, ma che in fondo c’era sempre stato, nei suoi sogni più concreti, nella sua voglia di scrivere e comunicare, nel suo piacere di esserci. Sono le poesie di una vita, uscite, pur se con apparente fatica, da quell’arruffatissimo cassetto in cui erano “ammucciate”, cioè nascoste, e forse non chiedevano altro che di essere riesumate, riordinate, consacrate a rimanere ed a parlare con lui e di lui. Sono le poesie in cui come un soffio leggero si agitano affetti, emozioni, sentimenti, pensieri, quell’insieme immateriale che gli ha fatto “sentire” la vita e gliene ha fatto gustare la poesia. Poesia di una vita intera, quindi, ma anche poesia della vita in quanto tale.
Era questo il binario in cui scorreva il suo cuore, mentre la sua attività era diretta altrove, verso compiti importanti, ma più prosaici e non tali da soddisfare la sua brama di andare oltre.
Non solo sentire, ma anche ascoltare e far parlare. Viaggiando alla scoperta dell’anima del mondo, in particolare del suo mondo, egli solo in parte, quando si è avvicinato ai versi, ha guardato ai modelli classici della poesia in lingua, ma si è concentrato, prima in relativo, poi in assoluto, sui suoni, sulle sfumature, sulle connotazioni della lingua popolare.
E da qui è partita tutta la sua vita con la poesia. Fondando e dirigendo, da giovane, un suggestivo festival itinerante della poesia nei paesi della Locride, egli ha cercato di ridare voce ad una cultura che viene dal profondo e da lontano, da quella Magna Grecia che fu una delle patrie della poesia e della musica antica, da quella terra che diede i natali alle note avvolgenti del musico Senocrito e alle dolcezze di una poetessa dell’Amore come Nosside.
Suoni, vari, atavici, come lo sono tutti quelli delle nostre lingua madri dialettali. Ma lì, in Locride, c’era forse una scintilla in più. E da quella scintilla egli si è acceso per il suo lavoro, oramai pluridecennale, all’interno di una straordinaria “realtà di un sogno” come l’A.N.PO.S.D.I (Associazione Nazionale Poeti e Scrittori Dialettali), dove si riesce ancora oggi a far vivere sotto la cenere, e a farne sentire il profumo sopra la cenere, il fuoco di tutte le lingue dialettali italiane.
Nata come passione e forse come hobby, la poesia ha finito con l’essere, culturalmente e socialmente, la sua compagna, e lui l’ha tenuta, e la tiene, sempre e ancora a braccetto.
E' in tale cornice che va inquadrata questa raccolta, consacrata alla lingua dialettale della Locride, con i suoni della parlata madre di Staltari ma con una scrittura ed una struttura che risulta dal tentativo, veramente importante, di creare una dimensione unificante per tutto il territorio. Letterariamente, è il primo frutto di questo lavoro, che per il resto poeticamente si basa non tanto sull’armonia della metrica quanto sull’eco delle parole e sulla portata dei messaggi. Non risulta perciò tanto diverso l’effetto generato dalle liriche con versi monoverbali rispetto a quelle con versi più ampi ed accenni di rime e consonanze. E di forte impatto possono risultare sia poesie di lunghezza più o meno tradizionale sia poesie brevissime, che per la loro efficacia risentono delle lontane ascendenze della poesia lirica greca e soprattutto di quella epigrammatica alessandrina.
Le poesie di Staltari ruotano perciò soprattutto intorno al contenuto e per questo, pur se prodotte in ordine sparso, essendo figlie di un pensiero e di una sensibilità non particolarmente mutate col passare del tempo, sono state raccolte per grandi tematiche, come a tracciare e suggellare il cammino di valori che procede dalle radici nella famiglia di origine alla maturità nella famiglia acquisita. Una navigazione esistenziale puntata su solide stelle polari: gli affetti, il rispetto, la lealtà, la dignità, la solidarietà, la fraternità. Stelle, queste, illuminate costantemente dalla luce della Fede e cementate dalla forza dell’Amore, quell’amore che è il primo ispiratore dei suoi versi e lo è ancora di più perchè lui l’ha anche conosciuto e goduto nella sua pienezza.
La poesia dei versi e la poesia degli affetti
Il viaggio verso l’anima è introdotto da una breve Sezione, che funge praticamente da prologo, perchè presenta la concezione poetica di Staltari. Già qui egli conferma le sue predilette stelle polari e il loro legame con i versi. La poesia è consolazione della vita, perchè la illumina con i suoi valori e la riscalda con il calore del cuore: ‘U sinu da’ terra è friddu, / senza caluri, cu’ ‘n’aria fetenta / chi perdiu l’adduri (Il grembo della terra è freddo, senza calore, con un aria fetida, che ha smarrito il profumo), rimane sempre lei, amuri eternu, caru, chi non tradisci mai... (amore eterno, caro, che non tradisce mai). La prima stella polare del poeta è il sentimento, perciò per fare poesia nci voli ‘u ‘nchiostru dù cori... (ci vuole l’inchiostro del cuore) ed è a quello in cui Staltari intinge la sua penna, non certo in quello “tecnico” dei pisi e delle misuri, come dichiara già nel titolo della raccolta.
Ma la poesia è anche trasmissione d’affetto, d’amore, di solidarietà: egli spera infatti che il lettore sia qualcuno che cull’anima sapi ‘u voli beni (con l’anima sa volere bene). E, se è vero come è vero che la poesia è presenza, la poesia sua sia il segno della sua presenza, dei suoi sentimenti più veri e sinceri, la fonte del ricordo di un uomo che vorzi tantu beni ‘nta ‘sta vita (che ha voluto tanto bene in questa vita).
E' l’autoritratto giusto per cominciare il tuffo nel pozzo dei ricordi partendo da quelle origini che gli hanno insegnato tanto amore.
L’alfa e l’omega della sua casa poetica infatti non possono assolutamente prescindere dal fondamento della famiglia e dall’humus degli affetti.
Non a caso, la prima parte dei testi è intitolata Pezzi ‘i cori (pezzi di cuore), con un richiamo esplicito al titolo dell’intera raccolta e con la suggestione visiva dei lirici, delicati petali di Elena Ostrica, che del resto per tutta l’opera lo accompagna con belle e significative illustrazioni che sono veri e propri “colori poetanti”.
In quel richiamo iniziale c’è tutto il “cemento amato” dei valori fondanti di una vita, dell’identità personale e sentimentale, che viene da lontano e guarda lontano. Vi si sentono quasi tutte le emozioni che le corde dell’anima staltariana faranno vibrare attraverso le poesie e nel corso di tutta la sua vita. Valori e sensazioni che egli esalta con tutto il cuore, rimpiangendo il tempo in cui erano assoluti, e non relativi ed emarginati come succede oggi, il che genera una ferita nella sua radicata identità di lodatore del tempo passato.
Non a caso il primo testo della sezione ricorda proprio il bel tempo in cui ai genitori si dava del voi.
Non a caso egli parte proprio dalle radici affettive e valoriali per innalzare il suo albero d’amore. Un albero cresciuto ben forte su solide radici, dal papà, che lo faceva sentire al sicuro sotto la sua palandrana mentre lo accompagnava ‘ntà ‘nchjanata (nella salita), alla mamma, che cucinava il cucinabile con tutto l’amore e la dedizione e regalava calore e colore di vita. Grazie alla luce irradiata da loro, tutto prendeva anima, anche gli oggetti di ogni giorno, come ‘a cucchjara ‘i lignu (il cucchiaio di legno) del grande padellone dove il maggior lusso era rappresentato dalla trippa, oppure ‘u vrasèri (il braciere), con il bordo bruciacchiato dall’uso e dagli anni, sempre adornato da una “rosa di fratelli e sorelle”, caminetto ideale della loro unione: e ‘ntorn’à rota tua era ‘na festa, / madonna ch’era lesta chilla paletta,/ scavandu ù trova ‘u cori dì vrasi (e intorno alla tua ruota era una festa, madonna come era lesta quella paletta, mentre scavava per trovare il cuore della brace!).
E' stato il porto protettivo della famiglia che ha aperto la strada verso l’Oceano della vita e verso quell’altro porto di luce che lui ha trovato e costruito grazie all’unione con la sua Teresa e alla nascita dei carissimi quattru boccioli... (quattro boccioli).
La “sua” famiglia, la maternità che rinnova e addolcisce la vita, la “sua” paternità che profuma del tempo donato al futuro... Un brivido d’amore per il suo cuore.
Bellissima ed emblematica l’evocazione di quella “visione divina”, dove lui contemplava in un alone di eterea e avvolgente dolcezza sua figlia, bambina ieri e mamma oggi, che cà dignità e ‘a grazia ‘i ‘na regina (con la dignità e la grazia di una regina), allattava la creatura appena nata. E possiamo immaginare che in un fulmineo volo, oltre alla constatazione malinconica del suo tempo che passava, gli scorressero nel cuore come lampi di azzurra, ombelicale memoria le scene di Teresa madonna e mamma con la sua bambina appena nata e come lampi di speranza le fioriture del nuovo ramoscello nel futuro, pronto a farsi a sua volta pianta fiorita. In loro, con poetica ed umana vibrazione, egli contemplava e contempla tutto il miracolo della maternità, che è vita dalla vita e oltre la vita e della quale lui si sentiva felicemente beneficiario e protagonista.
Con tutte loro l’albero diventa sempre più robusto e fiorito. E il cuore esplode di emozione, non con i fuochi artificiali, ma come si carica di acqua un grande fiume tranquillo che procede verso il mare. Così egli vede, sente e vive il suo rapporto con Teresa, che diventa quasi la coperta di Linus del suo cuore. E le parole sgorgano calde e felici: stare con lei è ‘nu miraculu randi fattu ‘i Diu (un grande miracolo fatto da Dio), senza di lei, lui sarebbe nenti (niente), l’emozione che lui prova da lei nò seppi mai spegari (non l’ha mai saputa spiegare), quando c’è lei pur’ u scuru si tingi di rosa (pure il buio si tinge di rosa)... E le vibrazioni sono tali da evocare un afflato poetico anche in una frase quotidiana, pur se intensa, come Quantu / ti / vògghju / beni! (Quanto ti voglio bene!), qui diventata un’intera poesia di quattro versi monoverbali.
A suggellare tale intensità di calore affettivo, a fine sezione l’emozionante “Notturno” di Elena Ostrica, con quelle due figure che insieme vanno, abbracciate in un sentiero che viene da lontano e guarda lontano, sotto un vaporoso chiarore lunare che evoca tutta la dolcezza dello stare insieme e del camminare insieme.
Il silenzio parlante
L’intensità dell’identità valoriale e le serene aperture affettive e sentimentali predispongono con naturale pienezza l’animo di Staltari a “sentire” la vita in tutte le sue manifestazioni ed a “guardare” oltre le apparenze e la terrena materialità, stimolandolo alla costruzione di una profonda spiritualità e di una convinta dimensione etica. A creare nell’intimo del cuore gli spazi per arrivare a tutto questo è l’amico silenzio rivelatore e consolatore della verità: tu chi parri / senza vuci, tu l’amaro /dù cchiù forti velenu, tu zùccaru dù meggghju duci! (tu che parli senza voce, tu l’amaro del veleno più forte, tu lo zucchero della dolcezza più bella). Quando si trova, è alternativo alle frenesie della vita quotidiana e permette di cogliere il suono dell’essere ahimè troppo spesso coperto dai rimbombi delle frenesie quotidiane e dello stress che di questi tempi ci divora fino all’anima. Significativamente è proprio Silenziu il titolo base delle due parti di cui si compone la terza sezione.. La prima raccoglie le liriche in cui si effonde la meditazione staltariana sui rapporti umani, sulla bellezza parlante e divina della natura, sulla dialettica tra il fiorire dell’energia esistenziale e lo sfiorire verso la fine della personale parabola, sulla vita e i suoi valori fondanti.
La seconda parte, Silenziu... è così sia, nel climax del suo cammino interiore, è tutta “Verso Dio”, verso la sua infinita potenza e la sua paterna bontà, verso la sua necessità e l’attesa escatologica dell’incontro eterno.
Tematiche, come si vede, bollenti, che egli affronta con coinvolgente sensibilità, scavando nel suo cuore ed invitando ogni anima di buona volontà al suo convito di meditazione. E' un ampio ventaglio di problematiche che ci avvolgono col loro soffio solleticante: l’incanto del creato e la piccolezza dell’uomo di fronte alla sua bellezza (L’omu è cosa ‘i pocu / davanti ò spettaculu / ‘i nu tramuntu - L’uomo è cosa da poco di fronte allo spettacolo di un tramonto), il contrasto tra i sogni belli, i sonni dà cotraranza (i sogni della giovinezza) e il tempo che inesorabile tutto erode (‘a vecchiaja avanza / a passi lenti, / spalla a spalla, / a braccettu) (la vecchiaia avanza/ a passi lenti, / spalla a spalla, / a braccetto).
E ancora, l’inadeguatezza dei giovani a cui i genitori dèttaru l’ali / ma loro non sepparu / volari (dettero le ali, ma loro non hanno saputo volare), il linguaggio muto, quasi montaliano, delle pietre di un muro a secco, un armacera, che raccontano la storia del passato e il tempo si è consumato e le nottate senza luna.
E poi, sentenze di saggezza popolare (cù chjanta serpi / non poti cogghjri rosi – chi pianta serpi non può cogliere rose)... corredate dall’invito (che piacerebbe tanto a Papa Francesco) a non perdere mai la tenerezza (ogni cosa, puru / ‘a cchjù amara / pot’essiri nduciuta: / si l’apri cà chjavi / dà tennerezza – ogni cosa, pure la più amara, può essere addolcita, se la apri con la chiave della tenerezza)...
E la felice dolcezza delle piccole cose, come quella del piccolo con una mano nella mano del nonno e nell’altra un pezzo di cioccolata, da cui esplodono ddu’ occhj chjni ‘i lucentezza / chi sulu ‘a poti dari / ‘na grandi cuntentizza! (due occhi pieni di quella luce che solo una grande gioia può far risplendere!).
E poi... e poi...
Il canto della Fede
Tante cose diverse, ma con un unico collante possibile: l’Amore, l’Amuri, hjuri d’ogni hjuri (fiore di ogni fiore). Il suo grido è una certezza: chi nc’è megghju ‘i ll’amuri ‘nta ‘sta terra? (Cosa c’è meglio dell’amore su questa terrà) Un Amore da godere fino in fondo, ma solo se non lo si scinde dalla sua fonte primaria, cioè Dio, che per Staltari è la luce di ogni buio e la voce di ogni silenzio, la risposta ad ogni domanda. Per evidenziare questo la Sezione Silenzio... e così sia, dedicata appunto alla percezione del divino, finisce dove era cominciata la Sezione precedente, cioè con un inno alla Luce e alla Verità celesti, come a chiudere una cornice globale intorno a tutte le meditazioni raccolte.
La fede è il cemento irrinunciabile dell’identità di Staltari, senza particolari slanci mistici o proiezioni continue verso l’aldilà, ma come fondamento e guida della vita terrena, fatto di tradizioni, liturgia, speranza e ancora una volta soprattutto “Amuri”.
Dio è innanzitutto la certezza: Diu, ntà Ttia eu crìju. Ntà Ttia cumpidu, senza ma, senza però, senza pecchì. Eu crìju, Diu meu, ca tu sì (Dio, in Te io credo, in te io confido, senza ma, senza però, senza perchè. Io credo, Dio mio, che tu ci sei).
Per cui, nei suoi versi il divino è il Creatore che si manifesta nella bellezza del Creato e ne spiega l’origine e l’essenza, rispondendo alle eterne domande dell’uomo e, quando ?u cielu di stilli rigàla ?na hjurùta (il cielo di stelle regala una fiorita) e ci chiediamo chi siamo e dove andiamo, lui non ha dubbi: Diu è ?a risposta pe ll’omu, ?na verità ricercata! (Dio è la risposta per l’uomo, una verità ricercata)
E' la sinfonia stessa della Natura che parla di Lui: ‘A natura, ricca d’arti divina, / ammostra / comu ‘u Signuri sapi u ricama (La natura, ricca di arte divina, mostra come il Signore sa ricamare).
Il Divino, che sia Nostro Signore o il Bambinello o Maria o il Cristo stesso quando dialoghiamo con lui nella preghiera o feste comandate e nelle grandi tradizioni cristiane, è la luce della speranza che illumina il cammino dell’Uomo sempre oscurato dalla mai scomparsa dimensione di Caino. Ma è anche la fonte di una crisi di coscienza sui doveri del cristiano di non essere ignavo, per testimoniare e accendere la scintilla della sua fede di riferimento: Torni sempi e non ti spagni / ‘i stù mundu assai Cainu, / vorrìa u sacciu pemmu cangia, / nui, Cristiani, chi facimù (Tu torni sempre e non hai paura di questo mondo assai Caino, vorrei sapere: per farlo cambiare, noi Cristiani, cosa facciamò)
Coerente con la sua dimensione profondamente etica e tendenzialmente lirica, ha una visione chiara: lui si lascia illuminare dalla Volontà e dalla lezione del Signore: Jornàta doppu jornàta, aiutami, ti pregu, ù fazzu bonu chillu chi pozzu fari: mù fazzu allegramenti e cu’ tantu amuri (Giorno dopo giorno, aiutami, ti prego, io cerco di fare ciò che posso: farlo con allegria e tanto amore).
Per rafforzare la sua convinzione e renderla operativa nella vita terrena, lo soccorre il modello proposto da Sant’Agostino (Non uscire fuori di te, è nell’interno dell’uomo la Verità), quando egli afferma: nenti cunsigghj, nulla proposta /sulu silenziu, pecchì... / è inta a ttia ‘a vera risposta! (Niente consigli, nessuna proposta, solo silenzio, perchè è dentro di te la vera risposta!)
Così, con questa doppia invocazione, egli chiude le due sezioni sul silenzio e sulla meditazione e sigilla il suo cammino verso il divino ritornando all’umano.
Una poesia per il mondo... e oltre la vita
Quanto affermato non avrebbe sapore, come abbiamo già detto, se non accompagnato dall’Amore, verso se stesso, verso il Cielo e, naturalmente, verso gli altri. Consequenziale è perciò lo sbocco verso l’esterno, che traspare nell’ultima Sezione, dove egli si lascia turbare dalle Ombre del mondo, ma nello stesso tempo vuole turbare, ricordandoci che nel nostro piccolo non dobbiamo solo commuoverci ma possibilmente anche muoverci. Ed ecco che i mali della nostra società esplodono nei suoi versi.
Se ami, arrabbiati, diceva Martin Luther King. E Staltari si arrabbia di fronte all’inquinamento dominante e agli incendi dolosi, flagelli che mettono in croce il creato: L’arburu virdi, comu nu Cristu ‘mpena, / senti la morti sempi cchjù vicina (L’albero verde, come un Cristo in pena, sente la morte sempre più vicina). Rifiuta il muro che ergiamo contro i nostri fratelli e di rimando esalta l’accoglienza, che è palora duci, capaci ‘u schjova Cristu / da’ la cruci (parola dolce, capace di schiodare Cristo dalla croce). Non accetta per nulla la disumanizzazione prodotta dalla tecnologia: U web trasìu ntò pettu ill’omu ò postu dù cori (Il web è entrato nel petto dell’uomo mettendosi al posto del cuore).
Più in generale, non accetta la disumanizzazione della società: ‘U tempu è surdu, / ‘stu mundu è surdu,/ l’omu è surdu. / Tutti stringìmu catini / chi cciùncanu sempi cchjù forti! (Il tempo è sordo, questo mondo è sordo. Tutti stringiamo catene che fanno male sempre più forte!)
Eppure, non rinuncia a sperare. Non si tiene fuori dal mucchio, chiedendo più volte perdono per i propri peccati al Dio dell’Amore e del perdono. Eppure non rinuncia a sperare ed a lottare per sostenere la sua speranza: Ma eu no’ m’arrendu, / no, nà jettu ‘a spugna, / cu’ ‘na lanterna lapru/ ‘u peju scuru, / portu ‘a cruci mia.... E lu caminu è duru, / aspettu ‘n’alba nova, ‘u jornu novu (Ma io non mi arrendo, no, non getto la spugna, con una lanterna squarcio il buio più oscuro, porto la croce mia... E il cammino è duro, ma io aspetto un’alba nuova, un giorno nuovo).
Solo così può auspicare un mondo nuovo dove ancora ‘u veni ‘nu jornu libaru, senza armacèri, senza màschiri, senza ‘pocrisia, senza frontieri (dove finalmente possa giungere un giorno libero, senza muri, senza maschere, senza ipocrisia, senza frontiere).
Ed è con questo sogno di palingenesi e con l’evocazione della parola magica dell’Amore che si chiude l’intera raccolta, lasciando la scia suggestiva dell’anima protesa verso il mondo e verso l’infinito di una persona che sa, vuole ancora colorare il suo finito. Ma il sogno sottinteso, e umanissimo, dell’uomo Staltari, possiamo immaginare che sia anche, con questo volume, quello di comunicare oggi e lasciare domani una testimonianza più vera e più piena di sè, nel mondo esterno e soprattutto nella sua famiglia, in quell’albero che è destinato a fiorire ancora tante volte.
Oggi Staltari c’è... e ci sarà anche domani. E anche oltre la sua stessa vita.
Potenza della poisìa, ma anche soprattutto potenza di un uomo che ha saputo e sa lasciare il segno... Un uomo chi vorzi tantu beni ‘nta ‘sta vita (che ha voluto tanto bene in questa vita) ...

Franco Bruno Vitolo